il carso. la bora.

mike markart - martin g. wanko.

Gianfranco Franchi


BILANCIA.


Lassù c’erano, e ci sono, i caprioli e i cerbiatti. E quando eravamo piccolissimi la mia santola era più contenta di me quando davamo loro il pane secco. Salivamo soprattutto quando c’era tanta nebbia. Gli incarti del pane si tingevano di una luce insolita. Restavo stupito ogni volta che riuscivo a carezzare il muso di un capriolo, tra una mollica di pane e l’altra; era quella la mia ricompensa, d’una semplicità santa, d’una giustizia esatta e spartana. E lassù c’era l’ambulatorio della mia mamma, a Prosecco, vicino alla scuola slovena. Era un ambulatorio molto freddo, d’un pallore angosciante, ma mia mamma aveva disseminato pelouche e pupazzi di gomma di qua e di là, per far sentire a loro agio i cuccioli, e poi i corridoi s’erano riempiti dei disegni dei piccoli. Nessuno di loro aveva disegnato i caprioli. Ogni estate tornavo a controllare se qualcuno aveva disegnato i caprioli. Niente. In ogni caso non riuscivo a sentirmi a mio agio, là dentro. Mi sentivo geloso per tutto il tempo che la mamma passava con altri bambini. La vecchia bilancia mi dava i brividi, era grigia, estranea ed esatta. Una di quelle bilance che si incontravano nei vecchi paesi di campagna, magari a pochi passi da un belvedere. Andavano a gettoni, o giù di lì. Stupivano per la loro pretesa perfezione, per la loro intelligenza robotica. E poi lassù in Carso c’era, e sin qua resiste, nonostante qualche crepa, e un’estetica assurda di cemento armato, un santuario che da piccolo mi pareva un rovo di gabbie nere, un misterioso rompicapo per giganti. Da là si vedeva l’Istria, ed io avevo imparato dai miei nonni esuli che l’Istria era nostra, che era stata venduta, che era perduta, che s’era svuotata, ma restava nostra. Era così da sempre, era nel nostro sangue. Restavamo a guardare la terra perduta ammutoliti, come di fronte a un bronzo greco, rifiutando d’ascoltare quel che ci ripeteva il vento.


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